Ilha de Benguerra, Provincia di Inhambane, 8 e
9 novembre 2014
Benguerra è la seconda
isola dell’Arcipelago di Bazaruto.
È abitata da una comunità
molto isolata ed isolana, che vive prevalentemente di pesca di sussistenza.
I bambini che partecipano
alla vita della comunità aiutando nei lavori marinareschi, sono piccoli
uomini.
E le bambine piccole
donne che, senza saperlo e senza volerlo, mostrano il loro orgoglio africano.
Anche qui la natura è
molto confidente e passeggiando lungo le immense secche che si formano con la
bassa marea, è facile incontrare ibis e garzette impegnate a pranzare.
Al tramonto i sensi si
riempiono dei profumi del mare e della vegetazione e dei colori del cielo.
Il pensiero, prima di
dormire, è al lungo viaggio che domani ci attende alla volta di Maputo, per tornare a
casa.
Ilha de Bazaruto, Provincia di Inhambane, 7
novembre 2014
Bazaruto è meravigliosa
ed è un privilegio poter vivere qualche giorno questo arcipelago poco abitato.
Siamo di fronte all’Oceano
Indiano, che qui spazza con i suoi venti la costa est africana. E la piccola Isola
di Bazaruto, con i suoi dolci rilievi, è difesa da una imponente duna.
Decine di metri di
altezza separano la spiaggia dalla sua cresta, e salire su, in alto, con l’odore
della salsedine e la polvere che entra da tutte le parti, rende difficile capire se ci
si trova di fronte al mare o in mezzo ad un deserto.
Dall’alto, un paesaggio
mozzafiato. Da un lato, l’Oceano, con le sue secche e l’Isola di Benguerra all’orizzonte.
Dall’altro palmeti, mangrovie, praterie e macchia mediterranea. E a dividere il
mare dalla terra sempre lei, la Duna di Bazaruto.
La Duna è anche vita:
alla sua base, lo smarrimento di alcune capre rinselvatichite di fronte a una
pozza quasi secca.
E più in là, dove la
terra è più dura e compatta, una coppia di gruccioni sfoggia il proprio abito multicolore.
Ed poi un falco, così confidente da farsi fotografare con un 55 mm.
La giornata si conclude, al tramonto, sulla punta settentrionale, dove il mare morto e il mare vivo si incontrano, creando giochi di onde e maree.
Vilanculos e Ilha de Bazaruto, Provincia di Inhambane, 6 novembre 2014
Il nostro viaggio lungo
la costa centro-meridionale del Mozambico prosegue.
Quindici minuti di volo e circa venti miglia di mare separano il continente da Bazaruto, la maggiore
delle Isole dell’omonimo arcipelago, Parco Nazionale dal 1971.
Arrivato, vengo ospitato
in uno chalet dall'aspetto vintage, che mi trasmette un senso di calorosa accoglienza.
Mi affaccio sulla
spiaggia e, invece dei bagnanti, trovo uno stormo di garzette e,
più lontano, le barche di pescatori locali.
Domani sarà un giorno di
scoperta di questa isola meravigliosa: non posso nascondermi le tante aspettative che ho portato con me dal Continente Africano.
Pomene, Provincia di Inhambane, 3 e 4 novembre 2014
Sul fare della sera veniamo accolti nell'accampamento della Riserva dal personale e da 2 galli ruspanti che ogni mattina, alle 4 in punto, ci daranno la sveglia e, con eccesso di zelo, proseguiranno a cantare fino alle 6.
Il sole sta calando e un guardaparco riempie di gasolio il generatore che ogni giorno, per 2-3 ore, fornisce energia elettrica.
L'acqua è razionata e viene portata qui con un fuoristrada, dentro dei contenitori di plastica.
Per lavarci una bacinella, nella quale viene mescolata acqua fredda ed acqua riscaldata con un bollitore poggiato su dei ceppi infuocati.
Si cucina col fuoco vivo, di legna secca, raccolta a terra o staccata dai rami di qualche albero.
Il letto è un materassino dentro una tenda militare e il bagno è una latrina fatta di lamiere, che di giorno si infuocano sotto il sole.
La cucina delle mensole con tutto il necessario, un paio di braceri e ceppi riversi a terra, che ancora fumano.
La notte è per dormire e quando ti sembra che qualcuno abbia acceso una luce, in realtà è la luna piena che fa capolino tra le nuvole.
Il giorno dopo, Pomene si mostra in tutta la sua autentica bellezza: selvaggia, isolata, a tratti decadente.
Un albergo in rovina ci ricorda le villeggiature dei coloni portoghesi.
Il sole e il sale conservano i poveri prodotti del mare.
Un bambino rotea veloce le braccia nella speranza che, insieme alla lenza, salga qualche pescetto.
E poi la spiaggia, l'oceano indiano e una laguna dai colori meravigliosi.
Nkomana, Matola,
Provincia di Maputo, 26 ottobre 2014
La mattina inizia di buon ora a casa del testimone degli sposi, che ci
offre una colazione a base di zuppa di gallina, the e pane.
I gentiles accolgono gli sposi
con canti e balli, accompagnandoli fino di fronte all’altare, nella chiesa
evangelica dell’Assemblea di Dio a Nkomana. Questa comunità rurale si trova qualche decina
di chilometri da Maputo, dove le strade sono piste di sabbia soffice, le
abitazioni dei manufatti bassi di sola muratura e il verde degli orti, degli
alberi e delle siepi ti fa capire di essere in campagna e non nella periferia
di una grande città africana.
La cerimonia è durata circa 3 ore ed ha visto alternarsi sermoni, preghiere
e canti. Uno dei momenti per me più belli è stato l’ingresso in chiesa delle
donne del villaggio. A metà della cerimonia, interrompendo la preparazione del
pranzo per gli invitati, sono entrate omaggiando gli sposi, per qualche decina
di minuti, con canti e balli tradizionali, prima di tornare ai fornelli.
E proprio nella loro grande “cucina” all’aperto ho avuto modo di sentire
gli odori e vedere i colori della loro accoglienza, dell’amicizia e della
fratellanza, del senso di comunità: gli odori ed i colori dell’Africa.
E poi, anche qui, i volti di tante grandi e piccole conoscenze che mi hanno
accolto con i loro sguardi.
Self Esteem, ovvero autostima, è, secondo Giusti (1994), un senso soggettivo e duraturo di
autoapprovazione del proprio valore basato su appropriate autopercezioni. Lascio ogni altra definizione del termine ai
lettori che, per cultura, studi e professione hanno l’adeguata esperienza e
conoscenza della materia.
Pensando a questa parola mi vengono in mente i percorsi che ho fatto per strutturare
la mia autostima, che, grazie all’educazione ricevuta ed alle esperienze, è sufficientemente
robusta. Negli ultimi mesi, prima di trasferirmi in Mozambico, in un periodo di
riflessione, ho avuto l’opportunità di pensare al passato recente ed accorgermi
– soprattutto nel mondo del lavoro – quante volte la mia autostima, o quella di
amici e colleghi, è stata perlomeno perturbata. Selezioni di personale poco
trasparenti, consulenze date per parentela, amicizia personale o “prossimità
politica”, commesse assegnate col solo criterio del prezzo più basso, possono
portarci a pensare che in realtà siamo noi gli inadeguati al sistema “democratico/meritocratico”
in cui viviamo e che, se non riusciamo a raggiungere i nostri obiettivi
professionali, la responsabilità è solo la nostra. E, quindi, tornando alla
definizione citata in precedenza, il senso di autoapprovazione del valore di
ciascuno di noi potrebbe iniziare a vacillare.
Inoltre, mi duole dirlo, una invidia sociale sempre più diffusa porta spesso
ad attacchi personali immotivati, più o meno diretti. Infatti, da un lato, è
verissimo che la realtà ci mostra un paese, l'Italia, poco meritocratico; dall’altro, però,
si manifesta una tendenza sempre più generalizzata a gettare nel calderone dei
raccomandati e dei segnalati tutte le persone che riescono nella propria
professione.
Perdonate la piccola
riflessione "a voce alta" che spontaneamente si è manifestata in me al momento di scrivere il titolo; in realtà in questo post vorrei
raccontarvi di un gruppo musicale mozambicano,i Self Esteem appunto.
Qualche settimana fa ho
assistito al loro concerto di lancio del nuovo album “Infinito”, presso il
Centro Franco Mozambicano di Maputo.
Un concerto a cui hanno assistito non più
di un centinaio di persone, ma che, comunque, ha rappresentato un momento di
divertimento e scoperta. È stata infatti una gradevole sorpresa ascoltare un
gruppo di ragazzi che si diverte e fa divertire.
I 4 elementi che lo compongono, suonano un rock alternative e progressive, ispirandosi a diversi gruppi
musicali di fama internazionale, quali Soundgarden, Pearl Jam o Red Hot Chili
Peppers.
Vi segnalo una canzone che a me è piaciuta molto, Can't wait, di cui, di seguito, potete vedere il videoclip.